La Chiesa: il Corpo di Cristo

Daniele Di Iorio
Daniele Di Iorio
Ministro di culto - Pastore Evangelico, Assemblee di Dio in Italia (A.D.I.)
Daniele Di Iorio è un pastore delle Assemblee di Dio in Italia, attivo dal 1998 presso le Chiese ADI di San Cipriano d’Aversa e Vomero.
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VOI SIETE IL CORPO DI CRISTO (1 Corinzi 12:27)

1. Il corpo come immagine della Chiesa

L’apostolo Paolo usa l’immagine del corpo per descrivere la Chiesa: un organismo vivente, unito e diversificato. Il termine greco sōma indica non solo il corpo fisico, ma anche la totalità di un essere in relazione. La Chiesa non è una somma di individui, ma una comunione vitale in Cristo. Calvino scriveva: “Dio non ci ha uniti perché restassimo separati, ma perché fossimo membra l’una dell’altra”. Così ogni credente diventa parte integrante dell’opera divina.

2. Cristo, il capo e la sorgente di vita

Il corpo non vive senza il capo. In Efesini 1:22-23 Paolo afferma che Dio ha posto ogni cosa sotto i piedi di Cristo e lo ha dato come capo alla Chiesa, che è il suo corpo. L’etimologia di Christos (“unto”) richiama la consacrazione: Egli è il Messia che infonde il Suo Spirito nelle membra. Come il sangue scorre e dà vita al corpo, così lo Spirito Santo unisce e vivifica la Chiesa. Spurgeon diceva: “Dove Cristo è il capo, lo Spirito è il respiro, e l’amore è il battito”.

3. La diversità dei doni, ricchezza e non minaccia

Paolo afferma: “Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito?” (1 Cor. 12:17). La diversità non è debolezza, ma necessità. Ogni dono, ogni servizio, ogni vocazione è parte della sinfonia dello Spirito. Lutero sottolineava che “Dio non distribuisce i Suoi doni in egual misura perché la mancanza dell’uno sia colmata dall’altro: così nasce la comunione”. La Chiesa vive quando le differenze diventano complementarità e non competizione.

4. Le membra sofferenti e la solidarietà del corpo

“Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui” (v. 26). L’amore cristiano si misura nella partecipazione al dolore e nella gioia condivisa. L’etimologia di sympatheō (“soffrire con”) rivela la profondità della comunione. Quando una sorella o un fratello cade, il corpo non lo abbandona, ma lo sostiene. La Chiesa che ignora il dolore delle sue membra tradisce la sua natura. Come ricordava T.P.C.: “L’unione cristiana non è teorica, ma esperienziale; essa pulsa nel cuore del dolore condiviso”.

5. La responsabilità personale nel corpo

Paolo aggiunge: “Ciascuno per parte sua.” Nessuno è spettatore. Ogni credente ha una funzione, una chiamata, una voce. Non esistono membra inutili, ma solo membra inattive. Il verbo greco eimi (“voi siete”) è al presente: la nostra appartenenza non è un’aspirazione, ma una realtà viva. Essere parte del corpo di Cristo significa partecipare alla Sua missione nel mondo. Come diceva un antico predicatore pentecostale: “La Chiesa non è un museo di santi, ma un corpo in movimento per la gloria di Dio”.

6. Applicazione: la comunione come testimonianza

La comunione fraterna non è un’opzione, ma una prova della nostra appartenenza al corpo. In un tempo di frammentazione, la Chiesa unita diventa profezia di pace. Il mondo vede Cristo quando vede i credenti amarsi. La comunione è shalom, cioè “interezza”, ciò che è ricomposto e guarito. Quando le sorelle si riuniscono, quando le famiglie pregano insieme, quando i credenti condividono la vita, allora il corpo di Cristo cammina nella sua pienezza.

Conclusione: Essere “membra del corpo di Cristo” significa lasciarsi guidare dal capo, nutrire dallo Spirito e vivere nella comunione dell’amore. Non esiste solitudine nel Regno di Dio. La Chiesa è il luogo dove Dio fa abitare la Sua vita. “Da questo conosceranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).

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