In Atti degli Apostoli 3:4-6 leggiamo:
“Allora Pietro, con Giovanni, fissò lo sguardo su di lui e disse: «Guarda verso di noi». Ed egli li guardava attentamente, aspettandosi di ricevere qualcosa da loro. Ma Pietro disse: «Dell’argento e dell’oro io non ne ho, ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!»”
Era l’ora della preghiera, verso le tre del pomeriggio, e due discepoli, Pietro e Giovanni, salivano al tempio. Presso la porta chiamata Bella, era stato posto un uomo, storpio fin dalla nascita, che quotidianamente chiedeva l’elemosina a chi entrava. È singolare che questo uomo fosse sistemato lì, proprio davanti a un luogo sacro, ma non per entrare e cercare grazia da Dio, bensì per tendere la mano agli uomini, sperando in qualche moneta. Cercava sopravvivenza, ma non salvezza.
Pietro e Giovanni, che ora procedono insieme verso il tempio, li ritroviamo anche nel Vangelo di Giovanni, capitolo 20, quando corrono verso il sepolcro alla notizia che Gesù non era più lì. In quella scena, Giovanni si ferma all’ingresso del sepolcro, mentre Pietro entra per primo. Vedono le bende per terra e il sudario piegato con cura. In quel momento ancora non avevano pienamente compreso il mistero della resurrezione; erano in cammino verso la rivelazione completa.
Ora, però, qualcosa è cambiato. Quei due discepoli che prima osservavano con stupore i segni della tomba vuota, sono ora uomini trasformati dalla rivelazione del Cristo risorto. E quando si trovano davanti alla sofferenza, non esitano, non cercano risposte nel denaro o nelle risorse umane. Dicono al paralitico: “Guarda noi!” E poi dichiarano con autorità: “Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!”
Questa dichiarazione nasce da una profonda convinzione, da una realtà vissuta: Gesù non è più per loro un personaggio da seguire o un ricordo da onorare. È il Signore vivente dentro di loro. È questa consapevolezza che fa la differenza tra una religione e una fede viva.
Oggi molti portano il nome di Gesù sulle labbra, ma non lo conoscono nel cuore. C’è il rischio, drammatico e reale, di trasformare anche Gesù in un idolo sconosciuto. Sì, proprio Lui! Il nome che è sopra ogni altro nome può essere ridotto, se non c’è rivelazione, a un’etichetta spirituale, a una forma religiosa, a un’immagine tra tante. E così, senza rendercene conto, aggiungiamo Gesù alle nostre statue interiori, ai nostri simboli, ai nostri sistemi, senza permettergli di essere il Signore della nostra vita.
Il vero problema non è l’idolatria in sé, ma il fatto che spesso l’idolo porta il nome di Cristo ma non ha nulla della Sua vita. È un Gesù svuotato, fatto a nostra immagine, che consola ma non converte, che ispira ma non trasforma, che viene adorato ma non seguito. Pietro e Giovanni, invece, potevano dire con franchezza: “Guarda noi!” Non perché fossero perfetti, ma perché in loro era visibile la presenza del Signore risorto. La loro testimonianza non era fatta di parole, ma di potenza, non di teoria, ma di esperienza viva.
L’apostolo Paolo, ad Atene, nell’Areopago, disse ai cittadini: “Vedo che siete molto religiosi; tra i vostri altari ho trovato anche un’iscrizione: al Dio sconosciuto. Ebbene, quello che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio” (Atti 17:23). Anche in quel contesto, il problema non era l’assenza di religiosità, ma l’assenza di rivelazione. Anche lì, il nome di Dio era presente… ma era sconosciuto.
Così oggi accade quando ci si accontenta di una fede superficiale, di una tradizione svuotata, di una devozione meccanica. Gesù non è un concetto, non è una dottrina: è la Persona vivente che ci cambia, ci rinnova, ci guida. È il Signore della vita, non un’icona da venerare a distanza.
Quando Pietro vide le bende per terra nel sepolcro e il sudario piegato con ordine, non capì subito, ma quel gesto parlava. Il sudario piegato non era segno di furto o di fuga, ma di un’azione deliberata. Gesù si era alzato in modo ordinato. Quella piega annunciava: “Io ritornerò”.
Oggi, il Signore ci invita non a restare davanti alla porta, come il paralitico, accontentandoci di qualche moneta spirituale, ma a entrare nella Sua presenza, a vivere una relazione personale, a sperimentare la Sua potenza nella nostra debolezza. Ci chiama a smettere di guardare a simboli religiosi e a fissare lo sguardo su di Lui, il Vivente, il Re glorioso.
Maranathà! Gesù ritorna! E non verrà per chi lo conosce solo di nome, ma per chi lo porta dentro, per chi lo vive ogni giorno.
Gesù non è un idolo sconosciuto.
È un Dio conosciuto, presente, vivo in noi.
Dio ci benedica.
Francesco Smarazzo


